Se ci discostassimo per un attimo da tutto quello che ci appare normale, potrebbe emergere la sensazione di un’umanità sotto una sorta di incantesimo, una specie di stato ipnotico in cui la visione delle cose viene condizionata da forme pensiero ritenute convenzionalmente la realtà. Le eggregore sono degli agglomerati sincronici di pensiero, ossia dei pensieri cristallizzati e alimentati da tante persone con le proprie elucubrazioni mentali, così come con gli stati emozionali indotti da tali pensieri. Le eggregore fanno parte del nostro mondo ed esserci allineati è in questa nostra società praticamente la norma. Ce ne sono per ogni cosa: la vita, la morte, la religione, la giustizia, la politica, la medicina, l’amore, le relazioni, così come per ogni altra cosa che ha una forma mentale e viene quindi pensata. Tutte queste idee non sono nostra esperienza diretta, sono qualcosa che già era nel mondo e con cui siamo entrati in contatto, prendendole per vere e lasciandoci coprire gli occhi. Le possiamo riconoscere perché generano malesseri, pensieri ossessivi, paura, dolore, mentre la realtà così com’è, senza i filtri delle eggregore, ci permette di sentire una sensazione di quiete di fondo che permane persino quando i turbamenti ci attraversano. La natura di queste forme pensiero è di illusioni, che vengono pensate e ripensate così tanto da essere accettate come verità e tramandate come tali. Sono così tante e diverse tra loro che riconoscere le proprie è molto difficile, mentre quelle altrui ci appaiono talvolta come assurde nella loro diversità dalle nostre. Sono come delle frequenze mentali, che trasmettono alle menti allineate i propri pensieri, facendo in modo che esse ricostruiscano su quella base la propria realtà. In quanto frequenze sono come note musicali e ognuno, essendo identificato con la propria (che gli dona l’illusione di far parte di qualcosa e non essere più solo) pretende che gli altri suonino la stessa nota. Questo potrebbe essere sentito da chi c’è dentro come una sorta di voler essere capito, sostenuto, appoggiato, oppure come il desiderio che l’altro senta ciò che noi sentiamo, veda le cose come noi le reputiamo essere in realtà. Ma l’altro ha una nota sua e se essa è derivante da un’eggregora potrebbe aver dentro esattamente gli stessi sentimenti ed allora si crea il conflitto. Una guerra che combattiamo per queste idee, ma finché ci siamo fusi e identificati sembra che quell’idea sia la nostra, così come la vittoria. Tutto questo ci svuota, ci prosciuga e ci porta a perdere noi stessi, quello che realmente siamo e che si svela attraverso il sentire, un sentire che è manifestazione dell’essenza. Il fine che a noi viene mostrato è quello di far prevalere le nostre idee, quella che chiamiamo verità, ma quello più alto è proprio farci entrare in conflitto per continuare a produrre energie emozionali per alimentare il gioco. La vita diventa una lotta: contro parti di sé, contro gli altri, contro situazioni che la nostra eggregora ci fa vedere come ingiuste. A quel punto tutta la nostra energia viene dirottata a fuggire o combattere il conflitto, a seconda di quanto forte sentiamo la nostra idea, ma in ogni modo queste forme pensiero si alimentano. Perché hanno bisogno di essere alimentate? perché l’illusione crollerebbe naturalmente a contatto con la realtà, mentre la nostra attenzione e il credito che diamo a tali forme pensiero continua a tenerle in vita. Questo significa che sarebbero già scomparse se ognuno di noi avesse smesso di dargli nutrimento, ma questa è una scelta che ognuno può solo fare per sè stesso e quando si trova fuori da quelle eggregore il “rispetto” di ogni condizione diviene naturale. Per non alimentarle è importante prima di tutto riconoscerle, riconoscere come agiscono in noi, poiché a contatto con la consapevolezza semplicemente si sganciano, dissolvendo ciò che di esse si era impastato con noi. La prima cosa fondamentale è quindi dubitare di quei pensieri che esse inducono, permettendoci di mettere in discussione tutte quelle “voci” conflittuali. Esse continuano ad esistere proprio perché ci crediamo e per questo vale la pena riflettere sul legame tra credere e creare. In Spagnolo, “yo creo” significa “io credo”, anche se spesso viene tradotto come “io penso”, in quanto credere e pensare sono considerati sinonimi. Tutto questo può sembrare scontato, ma ai miei occhi è davvero interessante che credere e pensare vengano messi sullo sesso piano, così come queste cose vengono espresse con la parola di origine latina “creo”, che in Italiano ha assunto connotati diversi. Dare per scontato che si deve per forza credere a tutto quello che si pensa significa incastrarsi in un grosso limite, ossia quello di dare per scontato che sia vera qualsiasi cavolata ci passi per la mente. In questo sinonimo c’è praticamente il segreto della nostra ipnosi, quello di farci identificare con tutte quelle chiacchiere che catalizziamo dal canale mentale a cui siamo allacciati in quel momento e percepirle come realtà. Adesso arriviamo alla connessione tra pensiero creduto e creazione: finché crediamo che una cosa sia in quel modo, ci comportiamo come se lo fosse e del tutto ciechi ai segnali contrari, continuiamo a interpretare ogni cosa con quel filtro. Quante volte è capitato di parlare con qualcuno e avere la sensazione che qualsiasi cosa possiamo dire verrà comunque interpretata dall’altro per rafforzare la sua idea di fondo? Ciò accade perché c’è un conflitto e senza accorgercene lo facciamo spesso anche noi, ma quando ci siamo dentro è ovviamente più difficile riconoscerlo. Inoltre, da quella visione delle cose che l’altro scambierà per realtà, scaturiranno modi di comportarsi ed essi avranno delle conseguenze, innescando negli altri altre reazioni. Possiamo quindi affermare che quella visione andrà a creare anche una concatenazione di eventi, gestendo persino gli incontri con le persone, in quanto il simile attira e attiva il simile. Anche questo può sembrare banale, ma hai mai notato che gruppi con idee simili si incontrano e tendono ad escludere chi la pensa diversamente? Hai fatto caso come persone con lo stesso pensiero si uniscono tra di loro? Questa è una cosa naturale, che prescinde dalle eggregore, ma che si manifesta anche in quel frangente e ne favorisce il rafforzamento. Se io credo che la terra sia esagonale, entro in risonanza con chi pensa questo e interloquendo con lui in un sistema chiuso, perdo il contatto con chi la pensa diversamente. A quel punto, forte del gruppo che ha alimentato quella tale idea, inizierò a pensare che la mia eggregora sia la più giusta, l’unica verità possibile e questo si tradurrà con atti di prepotenza su chi la pensa diversamente. Attenzione però, perché se le cose stessero solo così sarebbe tutto molto più facile e almeno con chi condividiamo le eggregore staremmo in pace. C’è un altro passaggio da aggiungere al quadro: il falso io. Dal momento che queste illusioni entrano dentro di noi, iniziano a impastarsi tra di loro e con le memorie derivanti dalla nostra esperienza. Infatti non siamo agganciati da un solo tipo di eggregora, ma da tante diverse, che nel momento in cui intessono dentro di noi la loro ragnatela, generano un “suono unico”. Quel suono unico è una versione di noi costruita su illusioni, una sorta di “noi” costituito da idee, che ci separa dal piano della realtà, alterando le nostre sensazioni e percezioni. Quello che pensiamo su ogni cosa, che crediamo di sapere sul mondo, il corpo, la vita, l’amore, la morte, l’altro, la politica, ha sempre un sottofondo di “questo è giusto e questo è sbagliato” o “tale condizione è accettabile e tale altra no”: l’identificazione con quelle idee ci mette in simbiosi con il falso io. Si crea così anche un’idea di noi, una sorta di eggregora personale, che impegna tutta la nostra energia mentale e ci impedisce di utilizzare la mente per l’altro scopo che avrebbe: portare fuori quello che abbiamo dentro. La mente ci consente di tradurre il sentire, di comunicarlo, di manifestarci per quello che realmente siamo, in modo creativo e raffinato, ma se tutto il suo spazio è occupato dai pensieri conflittuali non ne rimane per altro. Questi pensieri giocano ad individuare qualcosa che non va bene della realtà e come in un loop quella cosa diviene un’ossessione, corredata di dialoghi mentali in cui si manifestano imputati, difese, giudici e giurie. Lo stesso moto di volere che l’altro suoni la nostra nota, così da sentirlo vicino e non tremare, avviene anche qui ed è per questo che anche gli appartenenti alla stessa egreggregora finiscono per litigare, in quanto il risultato dell’impasto sarà inevitabilmente diverso per ognuno. Insomma all’inizio ci si unisce per le cose simili, sentiamo che c’è simpatia perché la “pensiamo allo stesso modo”, ma quando escono fuori le visioni diverse…”apriti cielo” come si suol dire! Finché siamo identificati con questo falso io, qualsiasi cosa captiamo prende la sua forma e tutte le informazioni che entrano assumono quella nota. Così si rischia, fondamentalmente, di evolvere la struttura senza riconoscerla mai per quella che è: una pedina sullo scacchiere del piano mentale collettivo. Anche tutto questo che state leggendo potrebbe, proprio in questo momento, essere utilizzato per rafforzare le convinzioni che avete e per questo vi chiedo di prenderlo come un’ipotesi, senza crederci, semplicemente provando a vedere se queste cose accadono anche a voi. Ti prego di evitare di scorrere la lista delle persone che vi stanno antipatiche per appiccicare i loro volti su quanto letto e, se tutto questo avviene in automatico, puoi renderti conto della forza di questo falso io. Tutto questo va bene così ed è stato indispensabile per poter sopravvivere qui, in quanto era l’unico modo per appartenere alla famiglia che ci teneva in vita e poi per sentirci parte di qualcosa, coprendo il vuoto della solitudine. Talvolta abbiamo cambiato eggregora, perché qualcuno a cui tenevamo ci ha conquistato e convinto delle sue idee, altre volte abbiamo conquistato altri per aggiungerli al nostro schieramento e sentirli così parte di ciò di cui ci sentiamo parte, quindi uniti a lui o lei nell’eggregora stessa. Conoscendo tutto questo è possibile fare qualcosa di diverso, permettendosi di guardare a distanza quelle idee che abbiamo di noi stessi e delle cose, così come i pensieri derivanti dalla rete a cui siamo agganciati e riconoscerci come altro. Quando guardiamo quei pensieri senza crederci, prendendone atto per poi spostarci su una nuova visione, possiamo tornare a sentire la nostra vera natura: quella che sin da piccoli istintivamente era e che abbiamo imparato a storpiare, bloccare, modellare e contenere. Il Vero Sentire emerge da lì, come qualcosa di profondamente nostro, che riconosce la propria unicità e quella altrui, prendendo tutto così com’è e al tempo stesso manifestandosi per mezzo di parole, azioni e movimenti del corpo. Questo sentire è integro, non frammentato e con parti diverse in conflitto tra loro, ma per poterlo udire è necessario prima di tutto lasciar andare il tessuto di falso io, riconoscendolo e semplicemente smettendo di crederlo reale. Quando questo avviene torniamo nella nostra natura ed esprimere chiaramente quello che sentiamo e siamo avviene di conseguenza, manifestandosi anche nelle scelte e nel trovare il proprio posto nel mondo. Torniamo a sentire cosa siamo e questo ci permette di realizzare quell’essere, di realizzarci per la possibilità unica che incarniamo; ora, così come nell’istante successivo, che sarà sempre nuovo e noi lo saremo con lui.